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Nota sulla natura giuridica dei "beni estimati"

 

COMUNICATO STAMPA

 

A proposito delle dichiarazioni dell’ex giudice della Corte Costituzionale, dott. Maddalena, sulla natura giuridica dei “beni estimati”, contenute in un articolo apparso sul quotidiano Il Tirreno del 12 settembre, la Confindustria di Livorno e Massa Carrara, per contribuire ad una corretta informazione, anzitutto verso l’opinione pubblica, ritiene utile puntualizzare quanto segue, per evitare che si diffondano affermazioni fuorvianti e storicamente false.

“Siamo veramente stupiti dalla ricostruzione della vicenda storica dei “beni estimati” svolta dal dott. Maddalena.

Egli sostiene, infatti, che le cave catalogate come “bene estimato” secondo l’Editto di Maria Teresa nel 1751, non possono essere considerate in proprietà privata, per come è sempre stato finora ritenuto. L’argomento principale su cui si fonda l‘asserzione del dott. Maddalena è questo: la proprietà privata esiste solo a seguito della Rivoluzione francese, che scoppia nel 1789, e non poteva quindi esistere nel 1751. Ne consegue che Maria Teresa nel momento in cui disponeva che le cave iscritte all’estimo “dei particolari” da più di vent’anni fossero nella piena proprietà del titolare iscritto - questo il punto di cui si discute- non abbia in realtà inteso parlare di “proprietà privata” ma di una “concessione perpetua”. La disciplina dell’editto del 1751 non riguarderebbe pertanto -continua Maddalena- la “proprietà” delle cave, ma semplicemente il loro “possesso”. In questo consisterebbe -così almeno il virgolettato del titolo- il “grosso errore storico” di chi ritiene le cave in proprietà privata.

Queste affermazioni, semplicemente, non rispondono a verità.

Non risponde a verità l’idea che la proprietà privata sia “improvvisamente” nata in Europa il 14 luglio del 1789 e non esistesse il giorno prima: il processo storico che porta alla proprietà privata della terra inizia secoli prima della Rivoluzione e, se trova la sua consacrazione nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 26 agosto, ciò  deriva appunto dalla circostanza che a quell’epoca era già un processo largamente compiuto. La migliore dimostrazione è proprio negli estimi, detti anche catasti, che tutti i sovrani dell’epoca hanno fatto predisporre almeno dal Cinquecento in poi come strumento di accertamento fiscale della proprietà privata.

Verità storiche, queste, che si possono leggere nelle opere di tutti gli studiosi - anche quelli più “antagonisti”- che si sono occupati nello specifico del diritto di proprietà.

È bene ricordare, tuttavia, che non è questo l’oggetto del giudizio pendente dinanzi alla Corte Costituzionale che invece dovrà risolvere una questione diversa: se sia ammissibile che una legge regionale possa trasferire un bene dalla proprietà del privato alla proprietà pubblica solo scrivendo che quella proprietà privata non è mai esistita. Una questione che non riguarda soltanto la proprietà delle cave, ma qualsiasi altra proprietà privata, dalle case ai terreni agricoli.

Come cittadini, prima che come imprenditori e contribuenti, riteniamo che ciò non sia ammissibile, almeno in una Democrazia Occidentale. Lo stabiliva già la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789, ma lo si trova nitidamente scritto anche la Costituzione della Repubblica italiana, all’articolo 42, terzo comma: la proprietà privata può essere espropriata solo per motivi di interesse generale e dietro indennizzo, e lo ribadisce l’art. 1 del protocollo addizionale alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo dedicato alla protezione della proprietà, tutte fonti richiamate anche nell’ordinanza del Tribunale di Massa del 17/3/2016 che ha sollevato le questioni di costituzionalità che hanno dato luogo al giudizio incidentale, che sarà trattato unitamente al giudizio principale promosso dal Governo.

 


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